Uomini e cani by Sconosciuto

autore:Sconosciuto [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

GIOVEDÌ

Non sopportava l’idea di mostrarsi in pubblico in quello stato, con i capelli in disordine, la camicia gualcita, gli occhi ancora incollati dal sonno. L’estrema attenzione per la propria immagine era un lascito materno per la quale suo padre non aveva mai smesso di prenderlo in giro. Si ritrovò a chiedersi per l’ennesima volta quale diabolica alchimia impedisse a taluni di espellere una volta per tutte il bolo di questioni irrisolte col proprio padre, non riuscendo a evitare di schermirsi mentre s’immaginava il vecchio al suo fianco che gli lanciava affettuosi sguardi di derisione.

I carabinieri lo avevano svegliato che non era ancora l’alba, costringendolo a mettersi in macchina e a portare il suo stimatissimo culo di Primo cittadino qui, nella foschia umida della riserva. Aveva trovato il posto brulicante di militari, e ci aveva messo niente a capire che anche quella sarebbe stata una cazzo di giornata d’inferno.

Venga, signor sindaco, gli fece un carabiniere in borghese con una marcata inflessione tarantina pregandolo di lasciare l’Audi all’imbocco del sentiero e di seguirlo facendo attenzione a non toccare niente.

Nessuna nuova? domandò Enrico stringendogli la mano.

No, non ancora. Ma lo becchiamo, stia certo.

Me lo auguro, porca puttana!

S’inoltrarono per la stradina costeggiando tumuli di letame e rifiuti d’ogni genere: un tripudio di cerchi di barile, monoblocchi sfondati, bollitori screziati di ruggine, vasi rotti, mucchi di bulloni e ami da pesca e vecchi scaldabagni marciti al sole accompagnò i loro passi.

Da non credere, eh? disse il militare sbirciando la sua perplessità.

Già, da non credere, ribatté.

Giunsero nei pressi di una baracca in rovina asserragliata dagli esperti della scientifica. Il sole nascente stava spiegandosi come un mantello aperto nella campagna circostante e i nastri di bruma sprigionati dai filari di canne e dai viburni sembravano miasmi palustri sospesi nell’aria ancora fresca dalla notte. Mentre i corvi intonavano il loro richiamo mattutino, Enrico rabbrividì e andò incontro al carabiniere in uniforme che lo aspettava immobile sulla soglia della costruzione, tra i pigolii attoniti delle galline che girellavano lì attorno istupidite. L’ufficiale lo accolse senza perdersi in convenevoli facendogli strada all’interno, ma prima di dargli spazio chiese al gruppo di tecnici intento nei rilevamenti di farsi da parte per qualche minuto. Gli uomini si misero educatamente in coda uscendo uno alla volta allo scoperto attraverso la tenda lacera.

Per di qua, disse infine il carabiniere titillando il nulla con le dita.

La baracca era buia e aveva il soffitto di lamiera poco più alto di un uomo, con travi sbozzate coperte da una patina di fuliggine nera, aggraticciate da festoni di ragnatele. La puzza di muffa era asfissiante, e un lieve sentore di decomposizione si spandeva sordo nell’aria. Dall’unica finestra, in alto, trapelava una luce polverosa che illuminava rozzamente una cuccetta le cui molle nude erano ricoperte da uno strato di vecchi giornali ingialliti e da una pelliccia di pecora insudiciata. Una moltitudine di bottiglie e flaconi pieni di un liquido denso e indefinibile affollava una panca di legno sulla quale imputridivano anche dei rimasugli di cibo. C’erano ritagli di riviste

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